Il 7 ottobre il gruppo militante palestinese Hamas ha lanciato un attacco senza precedenti contro Israele: i suoi combattenti sono entrati nelle comunità vicine alla Striscia di Gaza nel pieno dei festeggiamenti del “Sukkot”, uccidendo i residenti e prendendo numerosi ostaggi. Secondo il resoconto di alcuni esperti, questo attacco risulterebbe essere l’operazione più ambiziosa mai condotta da Hamas dalla Striscia di Gaza, e costituisce il più grave attacco affrontato da Israele in oltre una generazione.
Inoltre, questa offensiva è stata lanciata proprio il giorno successivo il cinquantesimo anniversario dell’attacco a sorpresa condotto da Egitto e Siria nel 1973, un evento che ha scatenato una vasta guerra in Medio Oriente. La leadership di Hamas potrebbe aver scelto questa data in modo deliberato e con una consapevolezza storica. Da quanto avrebbe rivelato un dirigente di Hamas, Ali Baraka, tale attacco sarebbe stato preparato, con modalità top secret, all’incirca due anni fa.
Ecco quello che c’è da sapere sulle organizzazioni, i luoghi coinvolti e il contesto per comprendere questa storia.
La Striscia di Gaza è un piccolo territorio costiero lungo il Mar Mediterraneo, confinante con Israele e l’Egitto. Dopo la guerra Arabo-Israeliana del 1967 è passato sotto il controllo israeliano insieme alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Dal 2012, le Nazioni Unite riconoscono la Striscia di Gaza come parte integrante dello Stato di Palestina. Questa area è una delle più densamente popolate al mondo.
Presso la Striscia di Gaza dal 2006 impera l’organizzazione politica Hamas, nota anche come il “Movimento di Resistenza Islamica”. Si tratta di un partito islamista con orientamento sunnita e posizioni fondamentaliste, supportato da un braccio armato conosciuto come le brigate Al Qassam.
Originariamente, le “pietre miliari” su cui Hamas basava la propria identità prevedevano una serie di principi tra cui la conquista di tutta la Palestina e la distruzione di Israele. Ad oggi, Hamas non ha modificato in modo sostanziale i propri obiettivi generali, mantenendo la sua posizione di non riconoscimento della legittimità di Israele e scegliendo la resistenza armata come mezzo per la liberazione dei territori palestinesi.
Con queste premesse, Hamas potrebbe aver cercato di ottenere una vittoria simbolica contro Israele al fine di accrescere la sua popolarità tra la popolazione palestinese comune e di creare ulteriore scompiglio nella politica interna israeliana, già incrinata dopo la cruciale riforma della giustizia.
Inoltre, l’obiettivo di catturare numerosi ostaggi israeliani potrebbe essere stato quello di esercitare pressioni su Israele affinché rilasci alcuni dei circa 4.500 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, una questione di grande importanza per Hamas e tutti i palestinesi.
Nel contesto delle attuali tensioni, è importante considerare vari scenari che potrebbero avere ripercussioni negative.
In primo luogo, Israele, dopo aver dichiarato lo stato di guerra, sarebbe in procinto di lanciare un’operazione militare nella Striscia di Gaza, con l’obiettivo di punire Hamas e di recuperare i cittadini israeliani rapiti, tale incursione potrebbe scatenare uno scontro che coinvolgerebbe numerose forze armate da entrambi gli schieramenti. Inoltre, potrebbero essere coinvolti alcuni paesi limitrofi quali Libano e Siria. L’interruzione dell’approvvigionamento elettrico da parte di Israele e la progressiva diminuzione delle riserve d’acqua peggiorano ulteriormente la situazione umanitaria.
In secondo luogo, Hezbollah potrebbe incoraggiare i gruppi palestinesi in Libano a entrare nel conflitto, aprendo un secondo fronte contro Israele nel nord, come accadde durante la guerra di Gaza del 2021 e in aprile, durante le tensioni legate alla moschea di Al-Aqsa.
Inizialmente, Hezbollah ha reagito all’attacco annunciando di monitorare attentamente la situazione e di mantenere contatti regolari con i leader dei gruppi armati palestinesi.
Per quanto riguarda la complicità di altre nazioni con l’attacco perpetrato da Hamas, al momento non ci sono prove concrete che colleghino l’Iran all’operazione denominata “Diluvio di al-Aqsa”. Tuttavia, l’ipotesi del coinvolgimento iraniano sta guadagnando terreno a Washington e sta influenzando il dibattito politico. Infatti, sia l’Iran che Hamas sono fortemente contrari alla crescente prospettiva di un accordo di pace tra Israele e l’Arabia Saudita. Infine, è possibile che si verifichino ulteriori scenari di escalation. Ad esempio, i palestinesi in altre parti della Palestina potrebbero scendere in piazza in segno di solidarietà con Gaza. Le milizie dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata potrebbero sfruttare l’opportunità per invadere città e villaggi palestinesi, come avvenuto con sempre maggiore frequenza nell’ultimo anno. Inoltre, anche i palestinesi in Israele potrebbero scatenare proteste, come accaduto nel maggio 2021.
Attualmente, nelle aree coinvolte dal conflitto israelo-palestinese, come la Striscia di Gaza e le zone limitrofe entro 80 km, è preferibile evitare spostamenti non essenziali.
Si raccomanda di seguire le indicazioni delle Autorità locali e dell’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv, raggiungibile ai numeri d’emergenza +972 (0) 54 8803940 e +972 35301901, e del Consolato Generale a Gerusalemme, raggiungibile ai numeri d’emergenza +972 (0) 505 327166 e +972(0) 547688399. L’Unità di Crisi è sempre disponibile al numero 0039 0636225. Per registrare la propria presenza, si consiglia di utilizzare l’App Unità di Crisi o il sito DovesiamoNelMondo (www.dovesiamonelmondo.it).
Le rotte aeree da e verso Israele stanno subendo modifiche, ma la maggior parte dei voli delle compagnie israeliane continua ad operare normalmente. Si segnala la presenza di voli di linea straordinari, organizzati da ogni nazione, per il rimpatrio dei propri concittadini. Tuttavia, con il passare dei giorni e il deteriorarsi della situazione, alcuni paesi come la Svizzera hanno cancellato tali voli di rimpatrio. Si consiglia di non recarsi all’aeroporto Ben Gurion senza un biglietto aereo già acquistato.
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